Restare o fuggire … continua….

ops…Continua…

Ralph era più che emozionato, era terribilmente felice di essere li in quel momento, in quel posto, felice di aver intrapreso quella strana e stupida impresa alla ricerca di chissà chi. Ora non aveva più importanza, ora contava scoprire il più possibile di quel posto, cercare di soddisfare la sua immane, ingorda avidità di scoprire il mondo ed ingrassare i propri ricordi e le proprie emozioni. Diede un ultimo sorso alla bibita, la buttò giù tutta di un fiato, non aveva tempo di godersela come faceva di solito, aveva cose ben più eccitanti e gratificanti del bere una cola intiepidita. Si guardò attorno, appoggiò la bottiglietta vicino ad una pietra squadrata, l’avrebbe ripresa al ritorno, il vuoto a rendere gli dava diritto ad avere indietro ben 10 centesimi.

Gonfiò il petto e fece un profondo respiro, tanto profondo che la testa gli cominciò girare un poco, come quella volta che a casa della signora Carla aveva bevuto mezzo bicchierino di liquore all’arancia, si sentiva la gazzosa nella testa e per qualche istante gli pareva che tutto il mondo fosse li e non fosse li allo stesso tempo. Passata l’euforia da ossigeno, Ralph scosse la testa e a parte qualche primo incerto passo, si diresse sicuro verso la fila di alberi che nascondevano, con le loro alte e gonfie chiome, la grande villa abbandonata. Robusti fusti di contorti di glicine si aggrovigliavano intorno ai pilastri del porticato, arrancando con feroce voracità verso i poggioli nella facciata laterale. Grappoli di profumati fiori pendevano come lanterne ricolme di nettare, adornavano i muri come enormi campanelli ronzanti per la moltitudine di api e calabroni.

Framezzati al viola del glicine enormi campanule arancio intenso di bignonia penzolavano come tanti piccoli fiati di un’enorme orchestra. Foglie e fiori secchi ricoprivano le infestanti erbe che crescevano lungo il marciapiede solcato da mille crepe. Attaccamani si aggrovigliavano alle erbacce in una continua lotta per lo spazio e la sopraffazione delle piante vicine, in eterna lotta per la vita come ogni estate, in un ciclo perpetuo e continuo per sopravvivere al tempo. La portulaca si creava spazio tra i piccoli infestanti fiori azzurri di Veronica, che si abbracciavano alle campanelle bianche di convolvolo, creando un groviglio di colori e un avviluppo contorto di foglioline.

Incantevoli a vedersi ma così terribilmente forti e ostinate, caparbie, insistenti, alla fine infestanti. Quell’esplosione di piante e fiori lasciò Ralph a bocca aperta, si fece strada tra le alte e secche erbe di loietto, pesarone e avena selvatica, passandoci in mezzo le stringeva tra le dita sgranando i semi fino alla cima che gli restavano tra le dita come un minuscolo mazzetto di fiori secchi. Lasciò cadere i semi man mano che camminava, le mani quasi accarezzavano le cime degli alti steli d’erba, mentre con lo sguardo rivolto a destra e a sinistra si sincerò che non ci fosse nessuno, che non ci fosse nessun pericolo. Arrivò sotto il buio porticato, i vetri delle finestre infranti, le inferiate arrugginite perdevano scaglie di colore seccato dal sole, dal vento, dal tempo.

C’era una grossa porta di legno a due ante, con due grossi pomelli di ottone ossidato come maniglie, era accostata, chiusa, ma non serrata. Ralph si avvicinò alle finestre e con la mano cercò di fare ombra per scrutare all’interno, il riflesso era forte, i raggi di luce del sole che penetravano dalle altre finestre creavano un riverbero di chiari e scuri che rendeva impossibile capire cosa ci fosse dentro. Ralph si accostò alla porta, appoggiò le mani e cominciò a spingere, la porta rigonfia strisciò sul pavimento ricalcando segni sul pavimento che facevano pensare al fatto che forse non era il primo ad addentrarsi in quel luogo. Strizzò gli occhi e inarcò un poco le spalle, mentre la porta vibrando stridette in un acuto grido graffiando le piastrelle.

Cauto, attento, Ralph allungò la testa all’interno, poi tutto il corpo lo seguì come per spingerlo dentro. C’era silenzio e rumori, c’erano suoni e odori, luce ed ombra, la grande sale d’ingresso si estendeva a forma di cavallo attorno ad una grande scala centrale che portava al piano superiore. I pavimenti scuri, coperti dalla polvere e dallo sporco erano praticamente incolori, un grigio scuro uniforme, qua e la coperto di foglie secche e segni di macchie di umidità e infiltrazioni.

Rantolava quell’enorme casa, respirava a fatica, chiusa, stretta tra le morse e le spire di edere rampicanti e piante, soffocata, spenta dalla mancanza della luce del sole. Quella casa che sicuramente aveva visto tempi migliori stava morendo sotto il suo stesso peso, sotto il peso dell’esistenza. Meravigliato, angosciato, spaventato e oltremodo eccitato, Ralph non stava più nella pelle, desideroso e allo stesso tempo impaurito voleva scoprire tutto di quel mondo. L’immaginazione fervida di Ralph lo faceva spesso correre attraverso il tempo e lo spazio e davanti agli occhi tutto si animava, i colori riprendevano vita, i mobili rotti si ergevano dalla polvere, le pareti si inondavano di luce, le finestre si adornavano di delicate tende ricamate che dondolando nella brezza del mattino, spargevano il delicato profumo della lavanda in fiore nelle aiole.

Il lucido pavimento brillava riflettendo il grande lampadario di cristallo che scomponeva i raggi di luce in migliaia di colori. Le voci e i suoni percorrevano i corridoi, le risate di gioia provenienti dal giardino salivano rapidamente i gradini della scala come i tasti suonati veloce di un pianoforte a coda. Un rumore di passi in corsa interruppe il sogno ad occhi aperti di Ralph, come una puntina che scivola rovinosamente tra i solchi di un trentatré giri. Il cuore cominciò a battere velocemente, l’adrenalina gli fece rizzare i peli del braccio e dilatare le pupille, facendogli scorgere anche gli oggetti in ombra agli angoli della stanza.Qualcuno o qualcosa aveva fatto rumore al piano di sopra, Ralph di questo ne era sicuro, restava solo il fatto che avrebbe dovuto decidere se scappare o restare.

Continua

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